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martedì 8 novembre 2011

Cimone e Pero ovvero la Carità Romana

Se ti trovi a passeggiare per il centro di Roma, nei pressi della chiesa di San Nicola in Carcere al foro Olitorio, osserva alla destra della chiesa la piccola area archeologica al confine con il Teatro di Marcello.

È il luogo ove ebbe luogo la toccante storia di Cimone e di sua figlia Pero, ai tempi della Repubblica Romana.
Il vecchio Cimone si trovava in catene in un carcere, condannato a morire di fame per un reato ignoto.
Sua figlia, Pero, ottiene il permesso per entrare nel carcere a patto di non portare cibo al condannato. Ha partorito da poco e allatta il suo piccolo. Con lo stesso latte, di nascosto, nutre il padre. Così passa il tempo, Cimone non muore.
Il carceriere comincia a sospettare che qualcosa di strano stia accadendo e controlla di nascosto ciò che fa la donna ogni qual volta si reca in visita dal genitore. Coglie in flagrante Pero mentre sta allattando Cimone, ma le autorità, commosse per il gesto disperato di “pietas” della donna, concedono a Cimone la libertà.
In memoria di questo evento, Quinctio M. Acilio fece costruire un tempio dedicato alla Pietas, ove ora si trova il Teatro di Marcello.

Questa storia è stata ripresa nell’antichità da più autori, tra questi Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia ove egli narra la vicenda con una variante: in carcere è reclusa la madre della donna e conclude il racconto con la frase “quo miraculo matris salus donata filiae pietati est”.

Nei secoli e nei millenni questo toccante racconto è stato ripreso nelle forme più varie: Caravaggio lo rappresenta nel suo quadro “Le sette opere di misericordia”, Peter Paul Rubens ne dipinse varie versioni.

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