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domenica 20 novembre 2011

Alida Valli

Pola 1921 - Roma 2006


«Ma l’amore no, l’amore mio non può...»
È la canzone più trasmessa dall’EIAR (Ente italiano audizioni radiofoniche, la Rai di allora) dal 1942 al ’45, cantata dalle giovani donne italiane mentre si dedicano alle incombenze domestiche. A lanciarla è lei, la bellissima e allora poco nota Alida Valli, il viso sorridente e ingenuo del film Stasera niente di nuovo di Mario Mattioli. Ma se le note della canzone risuonano ovunque in Italia, Alida se ne sta nascosta a Roma per evitare ritorsioni fasciste: nel 1942, pare su pressione personale di Mussolini, le due parti del lungometraggio Noi Vivi - Addio Kyra (regia di Goffredo Alessandrini) venivano censurati dal regime.
Alida era nata a Pola il 31 maggio del 1921 in una famiglia aristocratica (i von Altenburger ) dove musica e cultura erano di casa: la madre era pianista e il padre professore di filosofia e critico musicale. La cultura di Alida, la sua bellezza singolare, la sua intelligenza unite a una grande versatilità costituivano uno straordinario patrimonio artistico per la sua futura carriera di attrice.
La Valli debutta nel 1935 nel film di Mario Camerini Il cappello a tre punte, e non si ferma più: dal 1935 al 1940 gira ben quindici film. Nel 1941 Mario Soldati le affida la parte di Luisa, intenso ruolo drammatico nel film Piccolo mondo antico dal romanzo di Fogazzaro: la sua interpretazione riceve il premio speciale al festival di Venezia. Ma è un anno doloroso per Alida: proprio allora il fidanzato, il pilota Carlo Cugnasca, muore in Libia. Nel ’47, ancora diretta da Soldati, riceve il Nastro d’Argento per Eugenia Grandet. A quel punto Hollywood la chiama per lanciarla come la “Ingrid Bergman italiana”. Alida parte con il piccolo Carlo, nato nel 1945 dal suo matrimonio con il compositore Oscar De Mejo, cugino dell’amica Leonor Fini.
Ma Alida non è Ingrid, ogni confronto tra le due attrici non ha alcun senso.
In Alida, invece c’era ben altro. C’era qualcosa che non mancava mai di “prendere” gli attori e i registi che lavoravano con lei e per lei. Qualcosa che si rinnovava ogni qualvolta interpretava un personaggio capace di ergersi con una differenza sostanziale, come un’interfaccia, un velo-sipario fra finzione e realtà. Partner e registi ne avvertivano immediatamente la presenza, e ne subivano le conseguenze, senza aver bisogno di rinunciare neppure a una briciola delle loro capacità interpretative e dirigenziali. Alida era sempre presente (anche quando la sceneggiatura non lo prevedeva) ben consapevole della sua femminilità da cui traeva forza per guidare gli altri, sempre conscia dell’importanza di ogni ruolo. Persino pronta a sacrificare il suo personaggio per evidenziare, quando necessario, quello dei suoi compagni di lavoro. Di conseguenza eccola giganteggiare su tutto il cast in modo tale da indurre il pubblico, i registi e persino i critici, a centrare Il caso Paradine attorno a lei piuttosto che ad Alfred Hitchcock, come ne Il terzo uomo diretto da Carol Reed e con Joseph Cotten e Orson Welles...Vale forse la pena di far notare l’importanza dei due nomi. Hitchcock e Welles, due colonne fondamentali a sostegno dell’erigendo tempio dedicato al culto del cinema. Alida, una onnipresente, bellissima donna che era in grado di dominare silenziosamente la pellicola dei film, il palcoscenico dei teatri, gli schermi della televisione. Bellissima, ma anche enigmatica e dolorosa come quando offre il suo volto sciupato e sofferente alla contessa Serpieri, amante infelice in Senso di Luchino Visconti, dove ci permette di avvertire quasi un precoce e struggente congedo dalla giovinezza: i capelli sciolti solo nelle ore dell’amore (tra le braccia di Farley Granger) e poi stretti nel severo chignon, la ruga profonda tra i chiari occhi sempre straordinari, le pieghe amare ai lati della bocca, l’inquietudine trattenuta e dolorosa evidente nella postura delle spalle e nel passo rapido… Siamo nel 1954, quando scoppia lo “scandalo Montesi”: Wilma Montesi, una giovane donna, viene trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica. Tra gli indiziati c’è il musicista Piero Piccioni (figlio dell’allora Ministro degli Esteri, Attilio Piccioni) legato sentimentalmente ad Alida: la stampa e l’opinione pubblica non danno tregua all’attrice che ne soffre tantissimo fino al punto di non recitare più per tre anni. Torna sugli schermi chiamata da Michelangelo Antonioni nel 1957 ne Il grido e nello stesso anno con Gillo Pontecorvo (La grande strada azzurra del 1957).
Nel 1961 è protagonista insieme a Georges Wilson di L’inverno lo farà tornare (Une aussi longue absence), di Henri Colpi. Due grandi registi italiani la chiamano negli anni Sessanta: Franco Brusati (Il disordine del 1962), Pier Paolo Pasolini (Edipo re del 1967). Più tardi Alida è diretta da Bernardo Bertolucci in La strategia del ragno (1970) e in Novecento (1976) ; e nel ‘72 da Valerio Zurlini in La prima notte di quiete (1972) accanto ad Alain Delon. Nel 1977 partecipa al film di Roberto Benigni Berlinguer ti voglio bene diretto da Giuseppe Bertolucci; nello stesso anno Dario Argento le affida due ruoli inquietanti in Suspiria (1977) e Inferno (1980).
Vince per la seconda volta il David di Donatello alla carriera nel 1991 (il primo l’aveva vinto nove anni prima come miglior attrice non protagonista per La caduta degli angeli ribelli) e nel 1997 il Leone d'Oro alla carriera a Venezia.
Il teatro l’aveva attirata molto presto: nel gennaio del ‘46 Alida aveva debuttato al Teatro Biondo di Palermo con Raoul Grassilli, Tino Buazzelli, Andrea Bosic in La casa dei Rosmer di Ibsen.
Nel ‘67 recita in Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, con Raf Vallone, Massimo Foschi e Lino Capolicchio, diretto da Raf Vallone, nel '69 in Il Dio Kurt, di Alberto Moravia, con Luigi Proietti, con la regia di Antonio Calenda. Nel ‘73, ne Il gabbiano di Anton Cechov, è con Carlo Simoni, Roldano Lupi e Ernesto Calindri, regia di Fantasio Piccoli.
La sua ultima apparizione sul palcoscenico è del 1988 in La città morta di Gabriele D’Annunzio con la regia di Aldo Trionfo.
Fra gli ultimi film Il lungo silenzio di Margarethe von Trotta (1993) e sei anni dopo Il dolce rumore della vita di G. Bertolucci.
Molte le sue interpretazioni per la televisione: indimenticabile Piccolo Mondo Antico (con la regia di Salvatore Nocita del 1989), e L’eredità della Priora (regia di Anton Giulio Majano nel 1980).
Quando Alida muore a Roma nel 2006, poverissima, sostenuta soltanto dalla pensione della legge Bacchelli, Bernardo Bertolucci la ricorda con queste parole: «Un mito, una dea».

Mariateresa Fumagalli e Lia Del Corno

Mariateresa Fumagalli, Professore di Storia della filosofia medievale all’Università degli Studi di Milano, condirettore della Rivista di Storia della Filosofia fondata da M. Dal Pra, e delle collane Quodlibet (Lubrina, Bergamo) e di Filosofia (Franco Angeli).

Lia Del Corno, Nasce e vive a Milano. Traduce (molto) dal francese, inglese e tedesco e scrive (poco) per Adelphi, Garzanti, Mondadori, RCS Libri, ma soprattutto si è occupata di teatro e ha curato le proposte culturali del Piccolo Teatro di Milano, del Franco Parenti e del Teatro Popolare di Roma. È sua l’idea delle lezioni-spettacolo che ha promosso con energia e entusiasmo. Attualmente continua l’attività di traduttrice; scrive libretti di opere liriche dedicate soprattutto ai giovani, firma qualche scenografia e disegna costumi.

Voce pubblicata nel progetto Enciclopedia delle donne

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